La nascita del Barolo: I Marchesi di Barolo

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Prima ancora che ci fosse il Barolo, c’era già il paese di Barolo, c’era già il castello di Barolo, e c’erano già le Cantine dei Marchesi di Barolo, dove è nato il Barolo, come testimoniano numerose fonti storiche.

Prima del Barolo, il vino prodotto con l’uva Nebbiolo era generalmente tutt’altra cosa rispetto a quello che conosciamo e apprezziamo oggi: era un vino dolce e frizzante.

Infatti, nel 1787, il futuro Presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson, in visita a Torino, assaggiò un Nebbiolo e così lo descrisse nel suo diario di viaggio: “Dolce come il vellutato Madera, astringente al palato come il Bordeaux e vivace come lo Champagne”

“Dolce come il vellutato Madera” per la presenza di zuccheri residui dovuti ad una fermentazione incompleta, arrestatasi involontariamente a causa delle fredde temperature notturne autunnali.

“Astringente al palato come il Bordeaux” per l’abbondante presenza dei tannini, tipici del vitigno Nebbiolo.

“Vivace come lo Champagne” per la presenza di anidride carbonica dovuta a rifermentazioni alcoliche accidentali del vino già imbottigliato, causate dall’abbondanza di zuccheri residui ancora presenti e innescate dall’aumento delle temperature in Primavera ed Estate.

Il Barolo attuale, vino dalla nobile struttura, potente, austero e, dopo un lungo affinamento in botte, armonico ed elegante, nasce da una storia d’amore. L’amore che sboccia alla corte di Versailles tra Juliette Colbert de Maulévrier, pronipote del ministro delle finanze del Re Sole, e Carlo Tancredi Falletti, Marchese di Barolo, Guardia d’Onore a Cavallo e Ciambellano di Napoleone

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Essi si sposarono nel 1806 e si trasferirono in Piemonte, nei possedimenti del Marchese: la loro residenza era il barocco Palazzo Barolo a Torino. Da lì partono per soggiorni nella tenuta di campagna: il Castello di Barolo nel centro del paese è la dimora invernale; sulla collina sovrastante, il Castello della Volta è la residenza estiva. Qui, tra i vigneti di Nebbiolo, Juliette sente l’aria di casa, della sua Vandea nelle terre della Loira, dai cui vigneti si ottenevano già allora pregiatissimi vini.

Giulia Colbert appena arrivata a Barolo capisce le potenzialità dell’uva Nebbiolo: si rende conto che queste uve possono dare vita a un vino altrettanto nobile del Bordeaux e dei Borgogna della sua terra natia. Così fa ampliare l’antica Cascina del Pillone di fronte al Castello di Barolo con nuove cantine, dove vinificare l’uva in un luogo protetto dalle rigide temperature tardo-autunnali.

In questo modo il nebbiolo – l’uva a maturazione più tardiva – riesce a ultimare la fermentazione alcolica e completare la trasformazione degli zuccheri in alcool. Il vino di Nebbiolo compie, così, la sua metamorfosi: il vino dolce e frizzante di prima assume il corpo, la stabilità e la nobiltà di oggi.

In relazione con la nobiltà di tutta Europa, nei suoi numerosi viaggi la Marchesa Giulia portò con sé il vino delle sue cantine, il “vino di Barolo”.

Questa facilità di trasporto è uno degli indizi del cambiamento fondamentale introdotto dal Nebbiolo vinificato nelle Cantine dei Marchesi di Barolo: prima il vino era instabile, perché la fermentazione alcolica non veniva completata a causa della mancanza di cantine a temperature idonee.

Scavare nel terreno tufaceo di queste colline era terribilmente faticoso per i mezzi di allora. Nelle Langhe d’inizio Ottocento le cantine erano una rarità e quelle pochi esistenti erano generalmente destinate alla conservazione dei cibi.

Giulia e Carlo Tancredi, grazie alle loro conoscenze, ampliano la Cascina Pillone realizzando appositamente il “gran semi-sotterraneo con volte a botte” – successivamente duplicato – che ancor oggi sono il cuore delle Antiche Cantine dei Marchesi di Barolo: il vino ottenuto è, da allora stabile e perfetto per essere trasportato per lunghe distanze senza subire alterazioni.

Una testimonianza della stabilità del Barolo prodotto nelle Cantine dei Marchesi di Barolo è la consegna al Palazzo Reale di Torino del vino destinato a Re Carlo Alberto.

Domenico Massé, Rettore del Collegio Barolo, racconta questa vicenda nel suo libro “Il Paese del Barolo”: “Una lunghissima fila di carri tirati da buoi entravano in Torino tenendo tutta la via Nizza, diretti a Palazzo Reale. Su ogni carro stava una di quelle botti lunghe e piatte della capacità di sei ettolitri dette «carrà», che una volta si usavano per il trasporto e anche come misura. Erano più di trecento, una per ogni giorno dell’anno, ed erano l’«assaggio» del Barolo che la Marchesa mandava al Re.”

Si narra che le carrà inviate dalla Marchesa al Re fossero 325, una per ogni giorno dell’anno, escludendo i 40 giorni di Quaresima, in cui anche Re Carlo Alberto avrebbe dovuto osservare il precetto cattolico dell’astinenza e del digiuno.

Considerando lo stato delle strade del tempo, il fatto che siano giunte tutte a destinazione senza incidenti, fa ritenere che si trattasse di un vino stabile, fermo, quindi lontano dal vino frizzante descritto da Jefferson.

Ecco che il Barolo diventa il vino della corte di Savoia, degli ambasciatori e degli alti ufficiali dell’esercito, e da lì si espande nei banchetti reali e nobiliari di tutta Europa. Da qui nasce l’ancora attuale appellativo proverbiale “Il Re dei Vini, il Vino dei Re.

I Marchesi Giulia e Carlo Tancredi morirono senza eredi. Con la morte nel 1864 della Marchesa i loro possedimenti divennero di proprietà dell’Opera Pia Barolo, l’Ente Morale che la stessa aveva creato per gestire le sue numerose attività benefiche. 

Dopo alcuni decenni, l’Opera Pia Barolo dedusse che avrebbe svolto meglio il suo compito concentrandosi sulle istituzioni benefiche create dalla Marchesa Giulia, e decise di cedere le Cantine e i Poderi a persone specializzate nell’arte di produrre il Barolo.

Ad inizio Novecento, nelle Langhe erano poche le aziende vinicole già strutturate. Una di questa aveva sede nella casa proprio davanti all’arco che dà accesso al Castello di Barolo. Era la Cavalier Felice Abbona & Figli, che ad inizio secolo aveva già un medagliere d’eccellenza assoluta.

Così nel 1929 Pietro Abbona, il fratello Ernesto e le sorelle Celestina e Marina, acquistano dall’Opera Pia Barolo le tenute e le storiche cantine dei Marchesi di Barolo. La famiglia Abbona subentra quindi nella storia di questo vino, che già produceva e commercializzava e con cui vinceva premi e medaglie alle esposizioni europee. Unisce il proprio entusiasmo e la sua competenza produttiva e commerciale alle storiche cantine dei Marchesi di Barolo

La famiglia Abbona si stabilisce nella storica Cascina del Pillone, che diventa casa e lavoro come si usa nella civiltà contadina delle Langhe.

Ma cosa succedeva nel territorio circostante a Barolo negli stessi anni?

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A Serralunga d’Alba veniva vinificato il Barolo della marchesa Falletti Colbert nelle cantine dell’Agenzia di Serralunga di sua proprietà

La nobildonna possedeva, in questo comune, almeno 150 ettari di terreni, vigneti che oggi sono diventati alcuni tra i più celebri crus del Barolo.

Dal 1835 al 1845 altri due personaggi operarono nella zona di produzione del Barolo e tentarono, entrambi, alcune innovazioni nei processi produttivi: il generale Francesco Staglieno e l’enologo francese Louis Oudart.

Nel castello di Verduno, acquistato nel 1837 dalla congregazione della opera di carità di Torino per opera del Re Carlo Alberto di Savoia, il generale Paolo Francesco Staglieno condusse i primi esperimenti di innovazione nella vinificazione del Barolo.

Giovanbattista Burlotto, nel 1910 acquistò il castello dall’amministrazione sabauda. Da sempre vinificatore presso la sua cantina situata a Verduno in via Vittorio Emanuele, al civico 26, è suo il Barolo alla prima spedizione italiana al polo Nord. Ancora oggi è in attività con il marchio commerciale G.B. Burlotto.

Camillo Benso, conte di Cavour e primo ministro di Vittorio Emanuele II, invece produsse Barolo tra il 1835 ed il 1855 nelle sue tenute a Grinzane Cavour, non lontano dalla città di Alba.

Qui lavorò l’enologo francese Oudart, che vinificò Barolo secondo una tecnica particolare che certamente influenzò la produzione successiva di questo vino.

Oudart insisteva nell’ottenere vini secchi e che completassero la fermentazione, e dava molta importanza ai travasi, andando controcorrente rispetto ai metodi dell’epoca.

Le documentazioni riguardanti il Barolo relativamente a quegli anni non sono molte e le date storicamente certe e verificabili raccontano poco della storia del Barolo e di Barolo:

Nel 1871 nel regio tenimento di Fontanafredda in Serralunga d’Alba è documentata la presenza di “Barolo”. La tenuta è di proprietà del Fondo Real Casa – Patrimonio privato di Vittorio Emanuele II;

Nel 1873 in occasione dell’Esposizione internazionale di Vienna il “Barolo” di Fissore vince la medaglia d’oro. La città di Bra è il maggior centro di produzione di questo vino in quegli anni;

Agli anni 1880-1885 risalgono le prime documentazioni riguardo la valorizzazione commerciale del vino Barolo sui mercati italiani ed esteri per merito soprattutto del Conte Emanuele di Mirafiore, proprietario della tenuta e delle cantine di Fontanafredda. Fontanafredda divenne il maggior produttore di Barolo a fine ‘800.

A differenza dei grandi vini del mondo il Barolo tarda a farsi conoscere sui mercati mondiali. A Londra nel secolo XVII si beve Claret proveniente da Bordeaux. La felice posizione sull’oceano ha sempre favorito i commerci marittimi di Bordeaux.

L’intuizione e l’intraprendenza di alcuni nobili toscani certamente ha favorito l’ascesa del Chianti. 

Al Piemonte mancò una nobiltà che intuisse le enormi possibilità del vino. Un esempio citato da alcuni autori: l’Inghilterra in guerra con la Francia necessita di vino, suoi emissari chiedono al Piemonte vini rossi, sono convinti della loro qualità, potrebbe essere una buona occasione per fare conoscere i vini di Barolo. Manca una strada per imbarcare il vino, i porti sono a Genova oppure a Nizza, ma ai Savoia interessa altro, il Barolo arriverà a Londra esattamente due secoli dopo. 

Fontanafredda

FONTE: https://www.langhevini.it/le-denominazioni-tutelate-dal-consorzio/barolo-docg/


È il grande vino italiano per eccellenza, ottenuto da uve Nebbiolo in purezza. Nasce nel cuore delle colline di Langa, a pochi chilometri a sud della città di Alba, nel territorio di 11 Comuni che si inseguono in un suggestivo itinerario di colline, cesellate dalla mano esperta dell’uomo e sorvegliate da imponenti castelli medioevali, fra cui proprio quello di Barolo, che ha dato il nome al vino oggi celebre in tutto il mondo.

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Il Barolo nasce grazie alla caparbietà di Camillo Benso Conte di Cavour e di Giulia Colbert Falletti, ultima marchesa di Barolo, si cominciò a produrre, a metà dell’Ottocento, un vino eccezionalmente ricco e armonioso, destinato a diventare l’ambasciatore del Piemonte dei Savoia nelle corti di tutta Europa.

Assieme al Barbaresco ha percorso tutti i momenti di valorizzazione del XX secolo partendo dalla associazione “Pro-Barolo” fino alla fondazione del Consorzio poi l’ottenimento della Doc e della Docg fino all’avvio del Piano Controlli per la Certificazione richiesta dall’Unione Europea nel 2005.

Dallo stretto legame fra le caratteristiche intrinseche del vino e i gusti nobiliari del XIX secolo è nato il detto “il re dei vini, il vino dei re”. Deve invecchiare almeno tre anni, oltre ai due mesi successivi alla vendemmia, di cui uno e mezzo in legno di rovere, e solo dopo cinque può fregiarsi della “Riserva”.

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